sabato 27 marzo 2010

Ho visto Mine Vaganti


Il film di Ferzan Ozpetek è bello.
Puglia, una famiglia alto borghese, è proprietaria, con un socio, di una fabbrica di pasta. Il padre (bravissimo Ennio Fantastichini) richiama il figlio minore Tommaso (un ingessato Riccardo Scamarcio) da Roma per effettuare il passaggio della società dalle sue mani a quelle dei due figli maschi, Tommaso appunto e Antonio (bravo Alessandro Preziosi).
Tommaso torna così, dopo anni di facoltà di economia e commercio e una laurea, a ricalarsi nei ruoli che sono stabiliti per ognuno dei componenti di questa classica famiglia del sud Italia.
Durante una prima visita alla fabbrica, approfitta di trovarsi solo con il fratello maggiore per confessare che: uno, non si è mai laureato in economia e commercio, ma in lettere; due, non gli interessa nulla della pasta, ma desidera scrivere, anzi ha già mandato un suo primo romanzo da un editore; tre, è omosessuale. Non solo, vuole raccontare tutto alla famiglia durante la cena che festeggerà il passaggio dell'azienda.
Anche il resto della famiglia, comunque, non scherza in fatto di sotterfugi. Il padre ha un'amante, e la moglie (Lunetta Savino) lo sa benissimo. La sorella più piccola è sposata e ha due figlie, ma è evidente che desidererebbe altro dalla vita. La zia Luciana, zitella, ma ancora piacente (bravissima Elena Sofia Ricci) sogna una vita lontano, magari a Londra dove era stata da giovane, e riceve i suoi amanti la notte, di nascosto, facendoli entrare dalla finestra. Poi c'è la nonna (grande Ilaria Occhini!), fondatrice della fabbrica di pasta, che ha passato la propria vita innamorata segretamente del fratello del marito.
Arriva la famosa cena a cui partecipano anche il socio e sua figlia Alba (bella e brava Nicole Grimaudo). Quando Tommaso chiede la parola, il fratello Antonio lo precede e confessa, davanti l'incredulità prima, l'imbarazzo durante e l'ira del padre poi, di essere omosessuale. Tommaso resta di sale, avrebbe dovuto essere lui l'omosessuale di famiglia, e invece c'è anche il fratello.
Il padre ha un infarto e viene ricoverato all'ospedale, Antonio scacciato, se ne va di casa, tutti sono sconvolti, tranne la nonna che aveva capito tutto, e tutta la responsabilità dell'azienda piomba sulle spalle di Tommaso che decide di non dire nulla di sé per non ammazzare definitivamente il padre. Bello scherzetto, ma il bel Scamarcio non fa una piega e si barcamena fra un fidanzato che, da Roma, lo reclama, la gestione della fabbrica di cui non capisce nulla e la costante vicinanza di Alba che sembra ridestare in lui pulsioni piuttosto etero. L'arrivo improvviso degli amici gay da Roma, fra cui il fidanzato, fanno però tornare presto Tommaso sui suoi binari, con relativi occhioni lucidi di Alba.
Il film continua mostrando la famiglia, da sempre ricoperta dalle spesse coltri di perbenismo borghese, che non cambia atteggiameto come ci si sarebbe aspettato di fronte agli accadimenti, ma che cerca di digerirli fino al bel finale liberatorio per tutti.
Davvero un ottimo film, magistralmente diretto, con alcuni bravissimi attori, una bella fotografia e una lunghezza e un ritmo accettabili.
Rimane il mistero di Scamarcio che non ha mai cambiato espressione per tutta la durata del film, nè di fronte alle avances di Alba nè di fronte ai baci del fidanzato.

venerdì 26 marzo 2010

Ho visto Julie & Julia


Film dal forte profumo di cipolla, diretto e prodotto da Nora Ephron.
La storia vera di Julie Powell e Julia Child.
Anno 2002, Julie Powell (Amy Adams), dipendente pubblica, dal lavoro monotono e stressante, appena trasferita nel quartiere di Queens, in una New York post 11 settembre, con il fidanzato (Chris Messina), cerca ma non trova uno scopo nella vita.
Anno 1949, Julia Child (fantastica Meryl Streep), appena trasferita a Parigi con l'innamoratissimo marito (bravo Stanley Tucci) incaricato culturale all'ambasciata americana, cerca ma non trova uno scopo nella vita.
La seconda, dopo varie esperienze fallimentari come stilista di cappellini e giocatrice di bridge, si dedica anima e corpo alla cucina francese, mangiandola prima e cucinandola poi, arrivando, in fine, a scrivere un libro di ricette famosissimo in america. Un manuale di cucina francese per casalinghe americane.
La giovane Julie invece, promettente scrittrice ai tempi dell'università, decide, più modestamente di aprire un blog in cui racconterà l'esperienza di cucinare tutte le 524 ricette di Julia Child, pubblicate sul famoso libro.
Il film procede su due binari, da una parte Julia Child, che si butta a capofitto nello studio della haute cuisine con straripante spirito americano, che Meryl Streep interpreta magistralmente. Dall'altra Julie Powell, che affronta il suo progetto con la determinazione, meno esagitata ma ugualmente americana.
I tempi sono diversi, il senatore McCarthy e la sua campagna anticomunista imperversa nella vita dell'America e di Julia Child, costringendo il marito a sottoporsi ad una specie di processo da cui verrà assolto, e lei a continui spostamenti, seguendo i, di lui, trasferimenti nelle varie ambasciate europee.
A Julie va apparentemente meglio. Non ci sono persecuzioni in atto e le ansie sono quasi esclusivamente private, generate da una sensazione di inadeguatezza e dalle incomprensioni con il compagno.
Le ricette e i pranzi si susseguono rimbalzando degli anni sessanta ai giorni nostri. I problemi redazionali legati al libro di cucina di Julia ed al blog di Julie, si accavallano, ma alla fine il libro verrà pubblicato e il blog avrà un successo tale che le proposte di pubblicazione pioveranno anche sulla angusta cucina di Julie, finalmente riconciliata con il suo compagno (decisamente un santo).
Le due protagoniste non si incontreranno mai, nonostante Julia sia ancora in vita quando Julie scrive il suo blog; o meglio, non si incontreranno mai dal vivo perchè, attraverso aragoste bollite e anatre ripiene, la presenza di Julia nella vita di Julie ci sarà eccome, diventando la musa che le cambierà la vita.
La cucina, la buona cucina, e l'amore vincono su tutto o quasi.
Il film è godibile e divertente. I protagonisti sono tutti all'altezza si sedere alla corte di Meryl Streep. La lunghezza, nonostante si tratti di 123 minuti, è sopportabile.
L'ultima scena è girata allo Smithsonian Institution dove è esposta la ricostruzione della cucina di Julia Child.

sabato 13 marzo 2010

Ho visto Shutter Island


Film di Martin Scorsese di cui possiamo benissimo fare a meno.
Teddy Daniels, un fin troppo drammatico Leonardo DiCaprio, è un agente federale, spedito su di un isola impervia e battuta dalle tempeste, nel golfo di Boston, dove si trova un manicomio criminale. La sua missione è ritrovare una paziente accusata di aver annegato i suoi tre figli, sparita dalla cella dove era rinchiusa. E' accompagnato dal suo collega Chuck Aule, un bravo Mark Ruffalo, per dargli manforte nelle indagini. Il primo approccio con l'isola è dei più spaventevoli, atmosfere cupe e fredde, un tornado in avvicinamento, la palpabile ostilità delle guardie e degli inservienti. Di matti, in effetti, se ne vedono pochi in giro, sembra che le guardie e gli infermieri siano quasi gli unici protagonisti della vita sull'isola.
La partenza è un classico. Sospetto negli sguardi, poca collaborazione da parte del personale e l'incontro con i medici responsabili, Ben Kingsley, bravo, e uno stanco Max von Sydow, omertosi e sfuggenti. Il nostro agente comincia ad indagare, la donna sembra sparita nel nulla, nessuna traccia, nessun indizio. Del resto siamo su di un isola e da qualche parte deve essere.
Cominciano però per il buon Teddy anche tutta una vasta gamma di visioni, sogni, allucinazioni. Riappare sua moglie morta che comincia a parlare con lui, dicendogli cosa fare e cosa cercare. Nel manicomio dovrebbe anche essere rinchiuso un piromane che, secondo il racconto di Teddy a Chuck, avrebbe appiccato l'incendio in cui è morta sua moglie. Rispuntano i ricordi del suo arrivo al campo di concentramento di Dacau e della sua disperazione di fronte alle montagne di cadaveri.
La ricerca della paziente scomparsa si interrompe quando la donna salta fuori dal nulla senza nessuna risposta alle domande: Dove ti sei nascosta? Come hai fatto a sopravvivere per tre giorni senza neanche le scarpe?
Questo è il momento in cui il film abbandona il binario del giallo per finire nel bianrio morto di un surreale thriller fantasioso. I ricordi, i sogni, le allucinazioni cominciano a fondersi fra loro creando una specie di giro turistico nei meandri della mente del protagonista. I personaggi reali si fondono con quelli fantastici, la storia del protagonista non è proprio quella raccontata fino a questo momento, ma non è neanche del tutto diversa. Insomma, tutto è il contrario di tutto, la realtà è sogno, come direbbe Calderon, e il povero spettatore è costretto ad una faticosissima concentrazione per non perdere il filo, oppure ad una bella ronfata, cercando di non disturbare i vicini.
La storia così si trascina, sbadigliosamente, fino al finale che forse vorrebbe essere sorprendente, ma che provoca soltanto un benvenuto senso di liberazione.
Film dai toni che ricordano i bei noir hollywoodiani degli anni cinquanta, ma dalla sceneggiatura che è meglio non ricordare. DiCaprio che svetta per lirismo esagerato su gli altri attori assolutamente casuali sull'isola dei misteri.
I troppo pochi, matti criminali, nelle rare scene dove se ne incontra uno, sono gli unici a dare un brivido allo spettatore.

venerdì 5 marzo 2010

Ho visto Mar Nero


Primo lungo metraggio di Federico Bondi.
Angela è una ragazza romena che viene in Italia, in una Firenze grigia e nuvolosa, a lavorare come badante per recimolare un po' di soldi per poter avere un figlio, lasciando in Romania suo marito. Gemma è l'anziana che deve accudire. Una donna che i frequenti e terrbili dolori rendono dura e irascibile, scontrosa e prepotente. I primi approcci fra loro sono, come si può ben immaginare, estremamente difficili. Le due donne vivono le loro solitudini in un modesto e piccolo appartamento. Angela lontana da casa, dal marito, dalla sua lingua e Gemma che fatica ad accettare la sua condizione di dipendenza da qulcun'altro.
L'economia del film rende necessario che ad un certo punto gli spigoli si smussino e che si verifichi un avvicinamento fra le due. Angela, pian piano, comincia ad ambientarsi e Gemma si arrende all'evidenza della sua condizione.
Entra qui il fattore che ci porterà al finale. Angela non riesce più a mettersi in contatto con il marito che non risponde più alle telefonate. La lontananza rende tutto insopportabile per la pur forte Angela, che decide ritornare in Romania a cercarlo. Gemma sembra capire il travaglio tremendo che la ragazza sta passando e decide di accompagnarla, lei donna anziana malata e dolorante in un paese assolutamente alieno.
Una storia comune nell'Italia dei nostri giorni. Una storia di emarginazione, gli anziani e gli immigrati, raccontata lucidamente, senza enfasi e pietismi.
Un film onesto dove spicca l'interpretazione di Ilaria Occhini, asciutta e mai ridondante.
Il finale ci trascina in una terra desolata, di poche parole, in cui le cose non appaiono ma sono.

lunedì 1 marzo 2010

Ho visto Invictus


Ultimo film del maestro Clint Eastwood.
Un film bello. Bella sceneggiatura, belle musiche, bella fotografia. Schiacciante bravura di Morgan Freeman e Matt Damon.
La storia è nota. Nelson Mandela, dopo 27 anni di prigionia, viene liberato e diventa presidente della Repubbica del Sudafrica. Grandi cambiamenti investono la nazione che ha fatto dell'apartheid il suo fondamento. Mandela, che la sa lunga in fatto di sofferenza, spiazza tutti, bianchi e neri, avviando una politica di riconciliazione e perdono che nessuno si aspettava. I neri si aspettavano la vendetta, mentre i bianchi pure.
La riconciliazione naturalmente è cosa vasta e difficile, Clint sceglie di mostrare quella che passa attraverso il rugby. Sport nazionale degli afrikaner (sudafricani bianchi) per questo odiato dalla popolazione nera. Il traguardo che Mandela si prefigge è arduo, oltretutto perchè dopo anni di embargo sportivo, gli Springboks (soprannome della squadra), non ha più avuto modo di confrontarsi con altre squadre internazionali. Nel 1995 il Sudafrica ospita i campionati del modo, quale occasione più ghiotta per realizzare il sogno di Mandela se non vincerli!
La trama si srotola tra momenti di grande intesità e momenti più leggeri ed euforici sapientemente dosati dal regista che, nonostante l'occasione faccia l'uomo ladro, non scade mai nel patetico o nel troppo retorico. Il rugby poi si presta come nient'altro, a rappresentare i valori di impegno e sacrificio necessari per dare alla storia il respiro di commovente grandezza che, forse nella realtà della vicenda non c'è stato.
Clint Eastwood è bravissimo a riprendere le fasi di gioco dove il gesto sportivo trascende l'eroismo senza però mai esagerare. Il risultato è un film potente ed esteticamente perfetto, così poco hollywoodiano che fa piacere. Lungo il giusto (magari un 10 minuti meno non sarebbe stato male).
Morgan Freeman è Nelson Mandela, ne ha studiato movenze ed espressioni, è diventato suo amico, è bravissimo, più di così... è assolutamente da Oscar.
Matt Damon, che intrpreta il capitano della squadra, è altrettanto bravo. Carismatico e appassionato, sta davanti al cambiamento radicale del suo paese con stupore, ma anche con la certezza che tutto questo sia necessario. Commovente la sua vistia a Robben Island, la prigione dove Mandela restò per 27 anni.
Un bel film.

Ho visto Garage


Film irlandese del 2007 completamente verde.
Ambientazione agreste (ammesso che in Irlanda ci siano zone urbane) per questo film di Lenny Abrahamson. In un villaggio, sperduto per le brughiere, esiste un distributore di benzina con annessa officina. In questo distributore lavora Josie, un uomo con problemi psichici che lo rendono dolce ed ingenuo di fronte alla realtà. Insomma un brav'uomo che in qualche modo si è ritagliato uno spazio in quella piccola e chiusa comunità.
Il film ci racconta per filo e per segno la vita di Josie. Ci racconta della sua solitudine, e della solitudine disperata di tutti gli abitanti del villaggio, ci racconta delle sue piccole manie, dei suoi slanci, delle sue gioie in modo analitico senza mai lasciarsi andare a sentimentalismi o a peloso buonismo. La descrizione didascalica del nulla continua per 2/3 del film, ad un tratto succede qualcosa in questa monotonia claustrofobica, Josie viene affiancato da un ragazzetto di 15 anni per aiutarlo alla pompa di benzina, dove peraltro non c'è molto da fare. Fra i due comincia una specie di rapporto che non supera mai il condividere la birra e scambiare due chiacchere vuote come loro. Un giorno a Josie capita in mano, regalatagli da un camionista di passaggio, un film porno in cassetta. La guarda con assoluta indifferenza e la mostra anche al ragazzino, senza nessuna malizia e senza secondi fini, "tanto per fare qualcosa", come dice lui. La voce si sparge in tutto il villaggio e sarà il prologo del finale drammatico.
Un film non facile, che si regge esclusivamente sulla bravura indiscutibile del protagonista Pat Shortt, famoso attore comico irlandese che si cala con grande naturalezza in questo personaggio drammatico. La desolazione che circonda i personaggi è ritrovabile in ogni parte del mondo, ma la verde e rigogliosa Irlanda, è capace di creare un contrasto quasi doloroso fra la ricchezza della natura e la banalità della vita dei personaggi.
Uscendo dalla sala si può sentire ancora per qualche ora un persistente puzzo di benzina mista ad olio e grasso per motori.

Ho visto An Education


Prima sceneggiatura di Nick Hornby non tratta da un suo libro, ma da una storia della giornalista inglese Lynn Barber.
Ambientata nei primi anni sessanta, la storia racconta di una ragazzina sedicenne, Jenny, studiosa e intelligente, curiosa e romantica, che frequenta le scuole superiori e che si sta impegnando per riuscire ad andare ad Oxford, spinta anche da un padre che considera una buona cultura soprattutto come trampolino per un matrimonio prestigioso. Lei, che ama davvero studiare e conoscere, incontra un ragazzo ben più grande di lei, trent'anni, che le da l'occasione di entrare in quel mondo, ancora agli albori, che chiameremo Swinging London. Naturlmente Jenny ci si tuffa con tutto l'entusiasmo della sua età di fronte alla novità di concerti, feste e gite che David, il trentenne, le propone. Il marpione del resto usa proprio l'arma seduttiva della cultura per abbindolare la ragazza. Rapita e ipnotizzata dal turbinio che le ruota attorno, Jenny si allontana sempre più dai sani principi vittoriani e, complice anche il fascino che David esercita su padre e madre, diventa una ragazza tacchi a spillo e chignon.
Ma le cose non sono come sembrano e Jenny verrà brutalmente svegliata dal sogno e ributtata a malo modo nella realtà. Pentimento e rinascita, come nella migliore tradizione, da Pinocchio in avanti.
Dopo una buona partenza, nel secondo tempo rallenta come se fosse in prossimità di un autovelox.
Splendida interpretazione di Alfred Molina nei panni del padre, davvero bravo.
Peter Sarsgaard è un David piuttosto cicciotto e un po' imbabolato.
Carey Mulligan, Jenny, ha 24 anni che per una sedicenne sono tanti. Comunque brava anche lei, soprattutto le gambe.

Ho visto Cosmonauta


Opera prima della regista Susanna Nicchiarelli.
La storia di una ragazzina, Luciana, che vive la sua adolescenza, nei primi anni sessanta, per caso all'interno di una piccola sezione del partito comunista. Sono gli anni dell'ortodossia, del culto dell'Unione Sovietica, del tradimento dei socialisti. Luciana si muove dentro questo ambiente con le paure, i drammi e gli entusiasmi di tutti gli adolescenti, comunisti e non. Orfana di padre, con una madre che si risposa più che per amore per ragionevolezza cercando di dare stabilità e sicurezza alla famiglia; con un fratello epilettico più grande ma tanto più delicato e fragile, la nostra fa tutte le cose che fanno tutti a quella età: si innamora, si scopre donna, ricerca un modello da seguire. Combina dei pasticci.
Il film è gradevole, ma manca qualcosa. La regista sembra pretendere un po' troppo dall'ora e mezza del film (menzione speciale alla durata, perfetta). Non va a fondo di nessuno dei tanti spunti che da la storia, e così si rimane lì a mezzaria, saltando dagli sturggimenti di Luciana al fratello rapito dalle conquiste sovietiche dello spazio; dalla madre che c'è e non c'è alla sezioncina del PCI che sembra più il bar del dopolavoro; dai "primi vagiti del '68" (Venditti) alla rincorsa di una vita piccolo borghese. Insomma un bel tuffo nella vasca colma di vecchi miti comunisti, perfetta ricostruzione di tempi andati per sempre.
All'inizio del film, Luciana bambina grida: "Sono Comunista!!", una frase finita nel baule in soffitta da tempo, grazie Susanna di avercela ridetta.

Ho visto Tra Le Nuvole


Una commedia discretamente divertente che, forse, ambisce anche a far riflettere, ma che non ci riesce.
George Clooney, non nel suo massimo splendore, è un "tagliatore di teste" a cottimo, occupazione molto americana che da noi sarebbe impensabile, va in giro per gli States a lincenziare la gente. Un lavoraccio che non può che generare sensi di colpa, che il nostro, sublima dedicandosi ad accumulare miglia di volo, tessere VIP delle compagnie aeree e cercando di convincersi che quella è la sua dimensione di vita. Niente legami quindi, e nessuna casa. Ad un tratto entrano tre elementi di discontinuità nella sua placida e cinica esistenza. Una giovane neolaureata che, assunta dalla sua agenzia, ha il compito di rivoluzionare il suo lavoro sostituendo le continue trasferte con il licenziamento via video conferenza. Una donna conosciuta in un lounge di aeroporto che condivide con lui il continuo spostarsi da una città all’altra e con la quale, dopo una notte di sesso, comincia a fissare appuntamenti in giro per l’America, nelle città e nelle date coincidenti ai loro spostamenti, instaurando una specie di sistema random dell’amore. Infine la sorella che si sposa e che lo vuole al suo matrimonio. Sorella che non vede da anni e che rappresenta, insieme alla sorella più grande, la famiglia dimenticata e quasi sconosciuta.
Questi tre elementi minano, ognuno a suo modo, la vita del protagonista, che, nell’ordine, si rende conto che fa un lavoro terribile, si innamora sul serio e ritrova, ritrovato, la famiglia (secondo un concetto molto americano della stessa). Insomma un finale piuttosto scontato se non fosse per un colpo di scena che non ci saremmo aspettati e che salva, tutto sommato, la pellicola rendendo la storia certamente più plausibile.
Un film godibile (magari tagliando un quarto d’ora di scene) grazie soprattutto a Clooney sempre molto affascinante, che riesce a rendere simpatico uno che di lavoro rovina la vita delle persone. Gli altri protagonisti sono piuttosto scialbi, unico sussulto (maschile) in platea si è avvertito quando Vera Farmiga è apparsa inaspettatamente nuda sullo schermo.
La tirata sulla famiglia che salva ogni cosa, è un po’ becera ma il film è americano, tant’è.

Ho visto La Prima Cosa Bella


Film bello, delicato e lieve.
Una donna che attraversa una vita difficile senza mai arrendersi.
E' la storia di Anna giovane e bella mamma che, scacciata dal marito geloso in una Livorno anni '70, poco visibile, cerca di andare avanti fidandosi e incespicando, tenendo per mano i due figli Bruno e Valeria. E' anche la storia di Bruno, figlio maggiore, sempre più chiuso in sè per vergogna o per difesa. La sorella va a prenderlo a Milano dove conduce un'esistenza scialba, per riportarlo a Livorno al capezzale di Anna, malata terminale. Costretto a fare i conti con se stesso nonostante la sua caparbia riluttanza e i suoi continui tentativi di fuggire. Ritrova tutta la vitalità della madre, tutto il suo stupore di fronte alla vita diventata così corta. Ripercorre con la memoria tutte le tappe della loro storia e, forse, capisce un po' di più sua sorella, sè stesso e soprattutto la madre.
A noi rimane questa storia non banale ma normale, raccontata con grazia e con l'attesa di un finale che, nonostante tutto, ci lascia lieti.

Ho visto Avatar


Film davvero spettacolare, tutte le aspettative di questo tipo sono state attese.
Costruzione davvero maniacale dei luoghi, del pianeta Pandora e dei suoi abitanti. La natura e gli animali strani che la popolano. Alberi, fiori fantastici e dai colori sorprendenti. Animali inventati, ma possibili, creati con tutti i particolari. Per non parlare di insetti, foglie, cortecce. Insomma tutto quanto creato al computer è straordinario. Addirittura quasi meglio della definizione degli stessi abitanti protagonisti. E' un film fatto per le 3D e che va visto in 3D, su questo non ci piove. La nuova frontiera del cinema è qui. Certo bisognerebbe vedere se un film tradizionale, non di fantascenza o d'azione, possa trarre vantaggio dalle tre dimensioni, ma certamente questo è il futuro.
La storia. La storia è piuttosto banale e fa unicamente da contorno alla scenografia. Non è particolarmente complessa e tutto sommato è ovvia. Ci sono anche una serie di incongruenze necessarie per poter farla filare, ad esempio quelle temporali, non si capisce come faccia il protagonista a passare da dentro a fuori dell'avatar così il scioltezza. Certe volte si perde un po' il filo, ma sono particolari di poco conto nell'economia generale del film.
Effettivamente è lungo. Un po' troppo, ma del resto è il tempo necessario per godersi il capolavoro realizzato con il computer da Cameron. Secondo me dovrebbero proporre un documentario, tipo National Geographic, sul pianeta di Pandora, raccontandolo come se esistesse veramente. Sono sicuro che molti comprerebbero un biglietto per la prossima astronave.