sabato 12 febbraio 2011

Ho visto Il Discorso Del Re


Bel film di Tom Hooper.
Inizio secolo, il Duca di York, (straordinario Colin Firth) secondo genito del re Giorgio V (Michael Gambon), affettuosamente chiamato Bertie dai famigliari, è affetto da un grave forma di balbuzie. La cosa potrebbe non essere così grave se non si trattasse di un componente della famiglia reale. Al suo primo discorso in pubblico, davanti a migliaia di persone, il problema si rivela in tutta la sua drammaticità. Che fare? Certo un discendente della famiglia reale non ha certo problemi a trovare i migliori logopedisti, ma nonostante tutti gli sforzi la situazione non migliora per niente e, nel Duca, comincia a serpeggiare la sfiducia e la rassegnazione. Chi non si da per vinta invece è Lady Lyon (brava Helena Bonham Carter), la consorte, innamorata e fiduciosa nelle doti del marito. E' proprio Lady Lyon che scova Lionel Logue (grandissimo Geoffrey Rush), un australiano trapiantato a Londra, che sembra ottenere risultati strepitosi nel campo della logopedia, utilizzando tecniche non proprio ortodosse. Bertie si lascia convincere, e dopo un inizio piuttosto burrascoso con lo strano e anticonformista Lionel, comincia ad ottenere i primi risultati.
Intanto sullo sfondo si disegnano gli eventi storici che porteranno alla seconda guerra mondiale. Hitler invade la Polonia. Re Giorgio V muore e David (Guy Pearce), fratello maggiore di Bertie, sale al trono con il nome di Edoardo VIII.
Bertie continua a migliorare e può cominciare a fare qualche discorso in pubblico, anche se in occasioni secondarie. Cresce anche la stima e l'amicizia per Lionel che si rivela sempre più come l'unico amico sincero che il Duca di York possieda.
Gli eventi però precipitano quando re Edoardo VIII decide di abdicare. Da tempo il re ha una relazione con Wallis Simpson (Eve Best) un donna americana divorziata. Quando decide di sposarla è costretto a scegliere fra il trono e il matrimonio; il capo della chiesa britannica non può sposare una divorziata. Segue il suo cuore e, da un giorno all'altro Bertie si ritrova re. Ora la questione si complica, la guerra che incombe, la nazione che ha bisogno di un capo, l'impero: c'è bisogno di un re che non balbetti. Lo sconforto torna a tormentare Bertie. Nonostante l'educazione rigida, vittoriana, impartitagli dai genitori, e dalle varie tate, causa in buona parte del suo handicap, il futuro re Giorgio VI è smarrito. Solo due persone sembrano essere in grado di confortarlo. La devotissima moglie e il buon Lionel che, nonostante l'allontanamento causato da un eccesso d'ira di Bertie, torna e dimostra ancora una volta di non essere soltanto un buon logopedista.
La guerra con la Germania è stata dichiarata, è la vigilia di anni terribili, non solo per la Gran Bretagna, ma per l'Europa intera. Giorgio VI sarà uno dei simboli della resistenza al nazifascismo. E' il momento di fare quel discorso alla nazione ed all'impero di cui tutti hanno bisogno.
Un film storico di ottima fattura. Personaggi sempre in ruolo che superano, a volte, la perfezione con slanci emozionanti di bravura.
Ambientazione perfetta senza troppi sconfinamenti nella retorica.
Giusto ritmo e giusta amalgama fra la vicenda di Bertie e la narrazione storica degli eventi.
Giusta dose di humor britannico, come nella battuta del re dopo il famoso discorso: "Ho dovuto balbettare qua e la durante la lettura, altrimenti non sarebbero stati sicuri che fossi veramente io".

sabato 15 gennaio 2011

Ho visto Hereafter


Meraviglioso ultimo lavoro di Clint Eastwood.
Tre storie che si intrecciano fra loro e che ruotano attorno alla morte.
Marie Lelay (bellissima e brava Cécile De France) è una giornalista francese d'assalto, si trova su di un isola tropicale quando si scatena uno tsunami che provoca distruzione e morte. Lei stessa è coinvolta e viene ritrovata priva di conoscenza. In qualche modo riportata in vita dopo un annegamento, si rende conto che negli attimi in cui era praticamente morta, ha visto l'aldilà, ha visto cosa c'è oltre la vita.
A Londra vivono due gemelli, Marcus e Jason (George e Frankie McLaren), undicenni che devono sobbarcarsi, oltre la scuola e la preadoloscenza, anche una madre drogata in perenne fuga dagli assistenti sociali. A causa di un incidente stradale però il piccolo Jason muore ed il fratellino Marcus, dei due il più timido ed introverso, si ritrova improvvisamente solo a dover trascinare tutto il fardello della loro vita.
San Francisco, all'ombra del Golden Gate, vive George Lonegan (Matt Damon, sempre molto bravo anche in una parte a lui inusuale), un sensitivo che ha il dono di comunicare con i morti e che proprio per lo stress e l'angoscia che questo gli provoca, ha abbandonato la "professione" e tira a campare facendo l'operaio al porto.
Il tranquillo tran tran di George è funestato dal fratello Billy (Joy Mohr) che non solo continua a procacciargli clienti sgraditi, ma lo esorta a riprendere la "professione" di sensitivo ammaliato dalla prospettiva di fare un sacco di soldi. George non ci sta e cerca di costruirsi una vita normale, vive solo nel suo appartamento e, per contrastare l'insonnia che lo perseguita, alla sera ascolta audiolibri di Dickens, il suo autore preferito. Si iscrive ad un corso di cucina italiana e, fra una passata di pomodoro e un soffritto di cipolla, incontra Melanie (Bryce Dallas Howard). Un invito a cena, ed ecco che la curiosità di Melanie per il passato di George viene fuori con l'immancabile richiesta di una seduta, nonostante gli avvertimenti di George, che riporterà alla luce i drammi più nascosti della ragazza che sparirà dal corso di cucina e dalla vita di George.
A Parigi intanto le cose non vanno meglio, la bella Marie tornata al lavoro è sempre più ossessionata da quanto visto durante il breve momento di non vita dopo l'annegamento e questo si ripercuote pesantemente sul suo lavoro. E' distratta e disattenta. Il suo capo, nonché amante, le consiglia un periodo di riposo, magari l'occasione per cominciare a scrivere quel libro su Mitterand, che tanto le sta a cuore.
Londra. Marcus, rimasto solo, non si da pace, non ce la fa proprio a vivere senza il fratellino a fianco. Anche gli assistenti sociali inveiscono perché lo affidano ad una famiglia togliendolo alla madre che finalmente sembra decisa a disintossicarsi. Marcus è assillato dal desiderio di comunicare con Jason e si mette in contatto con tutta una serie di ciarlatani che promettono di poter mettersi in comunicazione con i morti, naturalmente spillandogli quelle poche sterline che si è procurato sottraendole ai genitori adottivi.
Marie ha trovato un editore disposto a pubblicare il suo libro storico su Mitterand, ma le ricerche per la stesura, cominciano presto a virare verso le indagini sulla vita oltre la morte che la portano a scoprire un mondo di studi e di prove sull'esistenza dell'aldilà. Ormai il libro sul vecchio presidente francese viene definitivamente messo da parte, e Marie si presenta dall'editore con la stesura dei primi capitoli del suo libro sulla morte. L'editore naturalmente lo rifiuta, ma da brav'uomo qual'è, la indirizza verso un altro editore che è ben lieto di pubblicarlo. La gioia di Marie però è destinata a durare poco, il suo capo/amante le fa capire che il suo posto di lavoro non l'aspetta più e che è già stata sostituita sia alla scrivania che nel suo letto.
Guarda a volte il destino, a San Francisco, George non se la passa molto meglio anche lui viene licenziato per esubero e si ritrova a spasso. Per Billy, il fratello, non c'è occasione migliore, è il caso di tornare a comunicare con i morti. Organizza tutto quanto, ufficio, studio, ecc., ma proprio il giorno dell'apertura George decide di lasciare tutto un'altra volta per volare a Londra e andare a ritrovare i luoghi dove si svolgono le storie del suo amato Dickens.
A Londra arriva anche Marie dove dovrà presentare il suo libro alla fiera libraria della capitale inglese.
E a Londra, sappiamo, vive anche il piccolo Marcus in perenne ricerca.
Nel finale del film i tre protagonisti si troveranno e in qualche modo ognuno di loro risolverà la propria vita forse non proprio come aveva sperato.
Un film davvero bello, delicato e lieve. Un argomento non facile che la classe straordinaria ed il proverbiale understatement di Clint Estwood ha allontanato dalle solite banalizzazioni e dagli stereotipi. Il ritmo serrato del film e la durata perfetta 129 minuti fanno il resto.
Unica pecca davvero insopportabile, la scelta della moquette sulle scale della casa di George a San Francisco.

lunedì 3 gennaio 2011

Ho visto Gorbaciof


Film del regista Stefano Incerti.
Marino Pacileo, detto Gorbaciof (bravo Toni Servillo), è il contabile del carcere di Poggioreale. Tutti i giorni maneggia i soldi versati dai parenti dei detenuti. Durante il trasferimento delle banconote alla cassaforte, alcune di esse restano appiccicate alle capaci mani di Gorbaciof che non ha altro vizio se non quello del gioco. Un vizio che si finanzia con lo stratagemma di prelevare appunto somme di denaro dalla cassa, andarseli a giocare al tavolo del poker, e poi, quando le serate vanno bene, rimetterli nella cassa prima che qualcuno se ne accorga. Qualcuno però se ne è accorto da tempo, Vanacore (Nello Mascia) sovraintendente delle guardie carcerarie, non perde occasione per fare battutine insinuanti alla volta di Gorbaciof e del suo vizietto.
La vita solitaria e decisamente squallida del protagonista, si trascina stancamente giorno dopo giorno, partita dopo partita con delle puntate anche alla sala scommesse ed al tavolo del Bingo. E' il poker però il centro dell'interesse di Gorbaciof, un tavolo da gioco clandestino che si trova nel retrobottega di un ristorante cinese. Le somme giocate sono piuttosto alte e quindi anche le perdite sono ingenti, fra gli assidui giocatori c'è l'Avvocato (Geppy Geijeses), uno che perde raramente e che ha, oltre una situazione economica più che stabile, una guardia del corpo che lo protegge e, soprattutto, riscuote i debiti. Altro componente del tavolo è il proprietario del ristorante (il giapponese Hal Yamanouchi), sicuramente più sfortunato al gioco dell'avvocato. Quando i suoi debiti cominciano a diventare pesanti, l'avvocato mette gli occhi su Lila (Yang Mi) la figlia. Su di lei però gli occhi li ha messi anche Gorbaciof, che, per evitare guai alla bella Lila, paga di nascosto i debiti del padre. Ormai però Lila è in pericolo, prima o poi il padre, rapito dal demone del gioco, potrebbe costringere la figlia a prostituirsi.
Comincia a nascere una reciproca intesa fra Lila e Gorbaciof, un'intesa fatta di sguardi perché Lila parla soltanto mandarino e Gorbaciof parla poco e basta. Lila però è affascinata da quest'uomo che le presta attenzione senza chiedere nulla in cambio. Comincia a scoprire in lui una sorta di tenerezza, nascosta profondamente sotto la dura scorza del giocatore incallito e disilluso. Lui riesce a sorprenderla continuamente. La prima volta che lui la porta fuori dal locale del padre e da una vita fatta di casa e lavoro, finiscono nei corridoi dell'aeroporto, lei dentro un carrello bagagli e lui dietro a spingere. Poi le fa visitare lo zoo di notte, forzando un cancello.
La vita del misogino e solitario Gorby sta cambiando a velocità sorprendente tanto che lui decide di abbandonare tutto, prendere un aereo con lei e andare via. Ma ci vogliono soldi. Bisogna ripianare i debiti con l'avvocato e con Poggioreale, e poi ci vogliono i soldi per i biglietti e per farsi una nuova vita. Sarà l'ineffabile Vanacore a trovarglieli, ma per averli, Gorbaciof, dovrà varcare la soglia della criminalità che, fino ad allora, non aveva mai avvicinato.
Arriviamo così, a passi pesanti, all'epilogo decisamente scontato della storia.
Un film decisamente sotto tono per il pur bravo Servillo. Una trama trita e ritrita con grossi buchi che lasciano lacune di incomprensione. Anche il ritratto di una Napoli multietnica forse meritava qualche approfondimento in più.
Insomma un film indifferente che si regge traballando, soltanto su un bravo attore.
Uscendo dal cinema si resta senza parole, contagiati dai silenzi manieristi di Gorby.

lunedì 13 dicembre 2010

Ho visto Incontrerai L'Uomo Dei Tuoi Sogni


Ultima uscita per il super prolifico Woody Allen.
Londra. Una squadra di personaggi, legati da sempre più labili legami familiari, ruotano attorno ad Helena (Gemma Jones) attempata signora un po' svampita, un po' credulona e un po' alcolista, madre di Sally (bellissima e bravissima Naomi Watts) ed ex moglie di Alfie (imbarazzante Anthony Hopkins). Helena, lasciata fresca fresca dal marito Alfie, terrorizzata al pensiero della solitudine si affida completamente alla veggente Cristal (Pauline Collins) che, leggendo nel futuro, la conforta e la tranquillizza sull'incontro di un nuovo amore. Sally, la figlia con i piedi per terra, lavora in una famosa galleria d'arte ed sposata con Roy (bravo Josh Brolin), un medico che ha preferito dedicarsi alla scrittura e che dopo un primo romanzo di successo sembra aver perso la vena creativa. Riescono a cavarsela grazie alle sovvenzioni economiche di mamma Helena e, per questo, sono costretti a sopportare le sue improvvise apparizioni nel loro appartamento ed il prosciugamento della loro scorta di alcool. Alfie, l'ex marito, invece si dedica alla cura del corpo cercando di riconquistare la giovinezza ormai svanita da tempo e, nella foga di riuscirci, sposa Charmaine (Lucy Punch) una sventolona con un terzo dei suoi anni, un corpo mozzafiato e un passato da attrice/ragazza squillo.
Mentre Helena sprofonda sempre di più nella paranoia divinatoria di Cristal, Sally si accorge che il suo datore di lavoro, Greg (Antonio Banderas) è bellissimo e che, se non fosse una donna sposata, di certo si farebbe avanti. Una sera lui la invita a teatro e Sally si immagina che anche lui provi gli stessi sentimenti. Roy, il marito, ha appena consegnato il manoscritto del suo ultimo romanzo e aspetta ansiosamente il verdetto dell'editore. Passa il tempo gironzolando per casa in snervante attesa fino quando, dalla finestra, vede nel palazzo di fronte una ragazza intenta a suonare la chitarra. Il suo nome è Dia (bellissima Freida Pinto), figlia di un critico letterario nonché fidanzata con un giovane diplomatico in carriera, ma non per questo restia a flirtare con Roy.
Alfie, bello cotto della sua Charmaine, sembra aver perso il lume della ragione, gioielli, pellicce, vestiti, un appartamento con vista strepitosa, e mentre il conto in banca si assottiglia sempre di più aumenta il consumo di Viagra.
Roy finalmente riceve notizie sul suo manoscritto, viene rifiutato. Crisi, sogni infranti, depressione che si rovesciano inesorabili sulla povera Sally. Ma succede l'imponderabile, un amico di Roy, anch'egli scrittore, viene coinvolto in un incidente e dato per morto. Il nostro scrittore fallito è l'unico ad aver letto il manoscritto dell'amico trovandolo ottimo. Senza pensarci troppo lo ruba e lo fa leggere al padre di Dia, che lo trova buono, e lo presenta all'editore che, entusiasta, lo pubblica.
Sally scopre che il bel Greg dal matrimonio in crisi, si innamora di una sua amica pittrice che lei stessa gli ha presentato. Altra crisi, ma, questa volta, viene in aiuto una vecchia amica che convince Sally ad aprire una galleria con lei. Entusiasta della proposta si precipita dalla madre, che nel frattempo ha incontrato Jonathan (Roger Ashton-Griffiths) un libraio specializzato in occultismo, e le chiede un finanziamento per partire con il suo nuovo progetto.
Alfie, viene informato da Charmaine di essere in procinto di diventare padre, proprio quando scopre che la mogliettina lo tradisce con l'aitante istruttore della palestra.
Ormai ci si avvia al finale, prevedibile ma divertente. L'intreccio delle storie si dipana completamente lasciando ognuno solo davanti la proprio destino.
Un bel film sulle illusioni. Le illusioni che tutti i personaggi nutrono verso il futuro e che nessuno, neanche la cartomante Cristal riesce a vedere.
Il cinico Woody propina uno dei suoi decotti di malinconia senza tenere troppo in considerazione lo spettatore. I personaggi sono imprigionati in ruoli decisamente stretti, una piccola galassia che continua a girare in tondo senza via di scampo.
Il film ha un buon ritmo anche se la durata di un'ora e mezza abbondante potrebbe, senza rischi, scendere di una decina di minuti.
La bravura di Naomi Watts è perfettamente controbilanciata dalla pettinatura di Josh Brolin.

sabato 20 novembre 2010

Ho visto The Social Network


La storia di come Mark Zuckerberg ha fondato/inventato Facebook.
Il giovane nerd (sfigato e brufoloso studente di college) Mark Zuckerberg (Jesse Eisenberg) è un talento nella programmazione dei computers, ma è una vera frana con le ragazze. La sua fidanzata, Erica Albright (Rooney Mara), giusto all'inizio del film, lo molla, lo avrebbe mollato chiunque da quanto è logorroico ed egocentrico. Tornato nella sua stanzetta al college, Mark, ferito dalle parole di Erica, scrive sul blog dell'università peste e corna sulla sua ex fidanzata. L'odio per l'altro sesso in quel momento è al massimo, nessuna delle ragazze del college si salva, sono tutte uguali, vanno punite. Come? Da bravo programmatore di computers, Mark decide di inventarsi un giochino da mettere nella rete del campus. Due foto di ragazze prese dall'annuario del college una di fianco all'altra in modo che si possa votare chi è la più carina. Per realizzare questo programmino Mark ha bisogno di un algoritmo (procedimento che consente di ottenere un risultato utilizzando passaggi semplici) da applicare al suo programma. L'amico (unico) e compagno di studi Eduardo Saverin (Andrew Garfield) prontamente gli scrive l'algoritmo su un vetro della finestra. Ben presto il giochino diventa il must dell'college e le connessioni aumentano a vista d'occhio.
Nella vicina Harvard (esclusivissima università americana), i due fratelli gemelli Winklevoss (Armie Hammer e Josh Pence) con l'amico Divya Narendra (Max Minghella), hanno l'idea di creare una specie di pagina di presentazione per gli studenti della loro università, in modo di favorire gli incontri e condividere esperienze. Ingenuamente chiedono aiuto a Mark Zuckerberg, che prima accetta poi si fa negare ed alla fine gli frega l'idea gettando le basi per Facebook.
Per partire però ci vuole anche qualche soldino, Mark chiede a Eduardo che ci mette i primi mille dollari. La società è formata.
Il programma gira all'interno delle università ed è ad esclusivo uso degli studenti, quindi il calcolatore Mark comincia a esportare l'idea su altre reti universitarie "invadendo" ben presto l'America.
Durante un viaggio a New York per trovare qualche piccolo sponsor, la nostra coppia, Mark ed Eduardo incontrano niente meno che Sean Parker (Justin Timberlake, forse più adatto a cantare) l'inventore di Napster il programma che permette di scaricare musica gratis dalla rete, e per questo fatto chiudere dalle mayor discogafiche. Sean intravede subito la grandissima potenzialità di Facebook e fa di tutto per entrare nell'affare mettendosi in mezzo fra Mark ed Eduardo. Il gioco riesce e con l'aiuto di Sean, Facebook diventa una macchina per fare soldi. Ma non tutto funziona perfettamente, sia Eduardo che i fratelli Winklevoss con Divya Narendra, fanno causa a Mark Zuckerberg. Comincia così una battaglia fatta di avvocati e vari scambi di accuse per decidere chi veramente ha avuto l'idea e chi è in società con Mark.
Sean intanto, ora che i soldi veri arrivano in tasca, si abbandona a feste a base di ragazze e droga. La polizia lo becca e Mark, prontamente lo scarica.
La fine della storia non è ancora stata scritta, Facebook è il social network più frequentato del mondo e in quattro o cinque anni, partendo dalla stanza di uno studente sfigato e incattivito con l'altro sesso, fattura 24 (ventiquattro) miliardi di dollari.
Una storia contemporanea, come tante altre successe nel mondo di internet, impossibile nel nostro paese, dove le università sono come dei vecchi bauli polverosi dove nulla accade senza la benedizione dei baroni impaludati, e dove i lacci delle leggi e della burocrazia più ottusa non permette neanche di avere la rete Internet libera e raggiungibile da qualsiasi luogo.
Ma anche la storia di un ragazzino pieno di problemi che fa quasi tenerezza, ma che non esita un attimo a diventare il cinico affarista pronto a liberarsi di tutto quello che può rallentare la sua corsa.
Film discreto che ha la sua forza nel ritmo che, pure nella durata di due ore, non si perde mai in strade a fondo cieco.

domenica 7 novembre 2010

Ho visto Salt


Adrenalinico film con Angelina Jolie.
La bella Evelyn Salt (Angelina Jolie) sotto la copertura di donna d'affari, nasconde la dura scorza di agente segreto operativo della CIA. Dopo essere stata acchiappata dai nord coreani e torturata in tutti i modi, senza che lei si lasci scappare neanche una parola, viene liberata con uno scambio di prigionieri. Finalmente il ritorno a casa, al tranquillo tran tran di spia, e dal maritino, Mike Krause (August Diehl), un aracnologo tedesco conosciuto in una precedente missione.
Un bel giorno capita negli uffici della CIA un russo, Orlov (Daniel Olbrychski), che dice di essere una vecchia spia del KGB con succose informazoni da rivelare. E' proprio l'agente Salt ad interrogarlo, ed ecco la rivelazione. Durante la guerra fredda in Unione Sovietica, venivano prelevati dei neonati da famiglie inconsapevoli, portati in un lontano ex monastero in Siberia ed educati ad essere dei perfetti americani. Una volta pronti venivano mandati negli USA per inserirsi nei punti nevralgici della società americana. I cosiddetti "agenti dormienti" dovevano poi, ad un preciso ordine, agire e scatenare la guerra delle guerre. Orlov confessa infine che il primo obiettivo sarà il presidente russo in visita a New York per un funerale e che l'agente dormiente che lo assassinerà sarà proprio Evelyn Salt. Sgomento fra le file dei servizi segreti americani. William Peabody (Chiwetel Ejiofor) agente del controspionaggio, crede al russo e decide di arrestare Salt. Ted Winter (Liev Schreiber) collega e amico di Evelyn, decide di crederle e aiutarla.
Qui comincia la rocambolesca avventura di Evelyn che, braccata da tutti quanti, deve riuscire a sgusciare come un'anguilla. Scappa e arriva a New York giusto in tempo per sparare al presidente russo. Si dilegua nuovamente e si riunisce a Orlov e agli altri infiltrati, suoi fratelli al monastero. Qui le viene comunicata la seconda parte del piano: uccidere il presidente degli Stati Uniti e scatenare la terza guerra mondiale. Mica poco per la nostra donnina. Travestita da ufficiale dei marines e con l'aiuto di un altro infiltrato, entra alla casa bianca. Arriva fortunosamente alla famosa sala di crisi, dove ci sono tutti i bottoni, e si trova davanti quello che nessuno si aspetta.
Un bel film d'azione senza troppe pretese, ma realizzato bene. Una storia che fila senza buchi o salti. Belle le scene dinamiche non esagerate e pertanto verosimili. Anglina è brava ma un po' dimessa, dimagrita tanto da far risaltare esageratamente i famosi labbroni. Durata perfetta, 100 minuti che non si avvertono. Qualche piccola caduta qui e là, come lo sfilarsi le mutandine di pizzo nero per coprire l'obiettivo di una telecamera di sorveglianza, ma niente di grave.
Insomma un film godibile con un finale imprevedibile, un ora e mezza di sano relax.
La buona vecchia Tomb Rider è tornata.

sabato 2 ottobre 2010

Ho visto La Solitudine Dei Numeri Primi


Complicato film di Saverio Costanzo tratto dal libro, omonimo, di Paolo Giordano.
Si narra, non senza fatica, l'intreccio delle vite di due singolari personaggi, Alice e Mattia, durante le fasi più drammatiche della loro esistenza.
Alice (interpretata alternativamente da Martina Albano, bambina, Arianna Nastro, adolescente e dalla brava Alba Rohrwacher, adulta), avuto un incidente con gli sci da piccola e, per questo, rimasta zoppa, vive l'adolescenza faticosamente. Bersaglio degli scherzi legati al suo handicap, delle compagne di scuola, sciocche e crudeli, con un padre (Roberto Sbaratto) tanto impegnato nel lavoro che non la vede quasi e una madre (Giorgia Senesi) depressa e disinteressata da quanto la circonda. Con una vita del genere appena la compagna di scuola Viola (Aurora Ruffino), bella e desiderata, la prende in simpatia, ma soltanto per alimentare il suo egocentrismo, e la coinvolge nella sua vita, meravigliosa agli occhi di Alice, la protagonista vede il mondo tornare di un rosa acceso e tutti i suoi dubbi e le sue angoscie sparire.
Mattia (bambino, adolescente ed adulto intrpretato alternativamente da Tommaso Neri, Vittorio Lomartire e Luca Marinelli) vive un dramma di ben altra portata. Mattia ha una sorella gemella con gravi problemi di comportamento. I genitori (la madre, una bravissima Isabella Rossellini) fanno di tutto per dare alla bambina una vita normale e spingono continuamente il piccolo Mattia di otto anni ad essere responsabile della sorella. Invitato ad una festa di compleanno da un compagno di scuola, il piccolo Mattia, costretto a portarsi dietro l'ingombrante sorella, decide, di lasciarla al parco su una panchina ed andare alla festa da solo, finalmente libero di essere un bambino e non un "bravo ometto". Naturalmente va a finire male e la sorellina sparisce. Questo il fardello che Mattia si trascina dietro fin dall'infanzia; prima in una adolescenza solitaria e scontrosa e poi nella giovinezza, dove l'unica salvezza sta nello studio compulsivo che lo porterà a diventare uno stimato ricercatore.
I due si incrociano per la prima volta nell'atrio del liceo che frequentano, ed è Alice a notare Mattia, leggendogli negli occhi quel disagio che le è così familiare. Lui però sembra non vederla neppure. Sarà Viola, (personaggio paricolarmente complicato ed ambiguo, che forse meritava più spazio) a far sì che i due si incontrino ad una festa. Da quel momento comincia a crearsi un rapporto quasi clustrofobico e angosciante fra i due ragazzi che non sfocerà mai nell'amore e non sarà capace di liberare i dolori passati e quelli ancora a venire.
Adulti i due si separano, Alice si sposa e Mattia va in Germania a lavorare, ma il legame profondo e anomalo dei due li porterà all'intenso finale.
Il film è una specie di complicato puzzle che viene composto da Costanzo con un uso continuo di flashback e flashforward. Il tutto fa sì che si generi una sensazione di grande disagio di fronte ai personaggi, puntigliosamente impegnati a sfuggire da ogni occasione di felicità.
La lunghezza, che certo non aiuta, 118 minuti, e il finale che subisce una battuta d'arresto del ritmo, già non caraibico del film, rendono il prodotto piuttosto difficile e serve la boccata di aria fresca, fuori dalla sala cinematografica, per disperde il senso di insopportabile pesantezza.